
Il Piano del Colore per Spoltore Capoluogo
di Edgardo Cotellucci
tra politica urbanistica e qualità del paesaggio urbano
di Edgardo Cotellucci
Dalla pubblicazione “Colori di un territorio” edito nel 2001 dalla Provincia di Pescara e dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Pescara
Nel centro storico di Spoltore Capoluogo nei primi anni settanta mentre proseguiva il trasferimento nelle nuove aree di espansione di molti residenti, iniziato negli anni ’50 con i fenomeni di frana che hanno lacerato una parte consistente dell’antico abitato, inizia quel fenomeno di recupero degli edifici da parte delle nuove utenze provenienti prevalentemente dai comuni limitrofi.
Il territorio di Spoltore ed il suo centro storico sono stati per un lungo periodo il luogo di riferimento per molte persone provenienti in prevalenza dalla vicina città di Pescara, alla ricerca di una migliore qualità della vita in un contesto i cui valori storici e paesaggistici siano riconoscibili.
In ogni caso sia i cittadini trasferitisi dal centro storico che i nuovi residenti hanno continuato sempre ad esprimere un forte legame con il nucleo antico, in quanto maggiormente incorpora la concezione del vivere lo spazio, identificandolo come spazio collettivo di proprietà pubblica. Quì infatti il sistema di piazze, piazzette e larghi rappresenta ancora lo spazio collettivo dove incontrarsi, passeggiare e giocare; oltre che permanere nel tempo come luogo deputato per la localizzazione di eventi particolari come manifestazioni pubbliche, feste religiose, eventi culturali e d’arte 1.
Della crescente richiesta in abitazioni in proprietà, dai primi anni ’70 in poi, si sono fatto carico alcune imprese locali che totalmente impreparate dal punto di vista tecnico, hanno trasformato edifici anche di valore architettonico, in alloggi anonimi adottando materiali, tecniche di lavorazione e di finitura analoga ad un cantiere per l’edilizia moderna. Lo scarso controllo di queste trasformazioni accompagnato alla esiguità degli interventi pubblici hanno provocato la perdita di identità di diversi edifici e la memoria storica di alcuni luoghi.
L’adozione del primo Piano di Recupero del Centro Storico è del 1988, ma la sua efficacia non trova molte rispondenze negli interventi edili effettuati. Da un’indagine preliminare effettuata in occasione della redazione della variante, sugli edifici sottoposti ad intervento nell’arco di tempo che va dal 1988 al 1998, risulta un’attività considerevole che investe il 25% di tutto il patrimonio edilizio esistente; percentuale che sale al 40% se fossero inclusi gli interventi catalogabili come “opere interne”. Una considerevole attività non sempre il linea con le previsioni di Piano in quanto la metà degli edifici ristrutturati risultano con “elementi in contrasto con le tipologie edilizie”.
Queste vicende trovano riscontro nell’analisi condotta da Paolo Marconi nel testo “Il restauro e l’architetto” ove afferma che i manufatti storici sono soggetti a mutazioni continue e che questa è una delle condizioni per la loro sopravvivenza in modo da continuare ad offrire all’uomo riparo e protezione oltre che emozioni estetiche. Come è pur vero che la progressiva scomparsa delle tecniche di lavorazione accompagnata alla carenza di una politica urbanistica, poco attenta ai lavori estetici e al paesaggio urbano, e all’aumento dell’abusivismo sono tra i fattori che hanno inciso sulla reinterpretazione del “colore della città” negli ultimi cinquant’anni.
Un tentativo di incentivare i proprietari di edifici nel centro storico al restauro e al recupero è rappresentato dal bando riferito alla delibera consiliare dell’ottobre ’96, per l’assegnazione di contributi comunali relativi a interventi inerenti la sostituzione di lavorazioni e materiali esterni agli edifici, ma a tutt’oggi non ancora attuato. Nel 1997 è stato affidato l’incarico per la redazione Variante al Piano di Recupero, il Piano del Colore e il Piano dell’Arredo Urbano del Centro Storico Capoluogo, poi approvati ed adottati definitivamente nell’anno 1999.
A distanza di due anni bisogna ammettere che alcune aspettative sono state disattese e ancora oggi molto deve essere fatto al fine di evitare che gli obiettivi e le finalità dei piani redatti in modo integrato rimangano ancora una volta solo dei bei elaborati. La volontà comprensibile di cambiare volto al centro storico da parte dell’amministrazione di centro-sinistra, dopo decenni di abbandono o di interventi tampone, è rappresentata principalmente dalle opere di consolidamento, dalla sistemazione della parte superiore del Belvedere e dal rifacimento della pavimentazione di gran parte delle vie, dei vicoli, delle gradinate e di Largo S. Giovanni.
Interventi a valenza prevalentemente “funzionale” che non considerano aspetti salienti relativi alla qualità del paesaggio urbano, eludendo così il mantenimento in stato appropriato del patrimonio edilizio, con la consecutiva perdita del carattere dei luoghi urbani dovuto anche alla mancata applicazione dei colori e dei materiali locali.
La realizzazione di pavimentazioni in un contesto ove esiste una specificità funzionale delle varie zone dell’abitato, contraddistinto da una specie di gerarchia dei luoghi, ben descritta tra l’altro nella ricca toponomastica, deve necessariamente rapportarsi e trovare riscontro nelle varietà del paesaggio stradale, nelle diverse funzioni d’uso e nelle diverse tessiture di pavimentazioni realizzabili.
In casi come questi il rischio è rappresentato proprio dal voler perdurare in una politica urbanistica attenta più alla qualità dei lavori svolti che alla qualità come valore estetico, imponendo così nel contesto urbano nuove dimensioni e nuovi ritmi che tendono a confondere la struttura fisica della città tradizionale; un atteggiamento che indubbiamente sottintende del disinteresse verso i problemi relativi alla qualità del paesaggio urbano 2.
Non a caso nelle linee strategiche e finalità del Piano viene riaffermato che “i piani del colore, per l’estrema visibilità ed estensione del loro esito e la complessità delle applicazioni, sono innanzitutto un problema di pertinenza politica ed esprimono in primo luogo la capacità, da parte della classe politica, di configurare l’immagine ed in definitiva l’identità di un determinato luogo” 3.
L’attuazione di un Piano del Colore comporta necessariamente l’istaurarsi di un rapporto costruttivo tra il livello amministrativo-politico ed i cittadini, realizzabile attraverso l’informazione, la promozione e l’incentivazione economica; ma ciò significa anche:
- creazione di un Assessorato per l’Arredo Urbano che eserciti e promuova una costante pressione culturale e un attento controllo degli interventi anche con l’ausilio di associazioni locali;
- l’attivazione di protocolli d’intesa, di accordi di programma e di quant’altro è possibile da parte delle amministrazioni pubbliche nei confronti di imprese o consorzi per il recupero del patrimonio edilizio sotto utilizzato o soggetto a degrado;
- promozione della qualità del progetto e dell’opera architettonica anche attraverso la disposizione di concorsi di idee e di progettazione;
- riqualificazione delle maestranze attraverso l’attivazione di corsi di formazione o scuola bottega per dare nuovo rigore a vecchi mestieri nel campo dell’edilizia.
La redazione del Piano del Colore di Spoltore ha consentito di realizzare un coordinamento cromatico dell’intero patrimonio edilizio ottenuto attraverso la rilettura del tessuto urbano, di come è andato formandosi e modificandosi nel tempo, sia rispetto alle colorazioni usate che agli elementi di finitura e decorativi delle facciate.
Il Piano si articola in tre fasi principali che vanno dalla documentazione delle conoscenze acquisite, alla scelta degli strumenti di regolazione cromatica, alla redazione del manuale operativo 4. In relazione ai numerosi Piani Colore già redatti per altre città grandi e piccole, esiste ormai un’ampia bibliografia che ben documenta i temi e le scelte relative agli strumenti metodologici, progettuali e normativi per la regolamentazione cromatica dell’ambiente costruito; mentre è sulla redazione del manuale che vorrei soffermarmi in quanto pensato come “guida operativa” per gli interventi edilizi. In particolare il “manuale” è stato ideato come una sorta di repertorio dei materiali, degli elementi costruttivi e delle finiture esterne degli organismi edilizi, focalizzando le caratteristiche degli elementi architettonici di facciata, degli elementi decorativi e di quelli funzionali. Formato da descrizioni, indicazioni sulle modalità d’intervento, documentazione fotografica e disegni esecutivi, il manuale illustra e fa apprezzare la sostanza materiale dell’edilizia storica.
Il “manuale” vuole essere anche un invito ad investire competenze e risorse in un lavoro di ricerca e sviluppo rivolto al miglioramento ed all’estensione dell’attività di restauro e recupero. Ponendo l’accento sulla necessità di iniziative per l’arricchimento delle attività artigianali legate al restauro edilizio, ed aggiungerei all’acquisizione di tutte quelle lavorazioni di pregio che trovano applicazione nell’architettura contemporanea.
A tale proposito possiamo pensare alle tecniche di ricoloriture murali degli edifici storici, alla lavorazione della pietra ed ai suoi campi d’applicazione come elemento di rifinitura degli edifici e per l’arredo urbano, ed alle altre lavorazioni artigianali che vedono impegnate figure come i falegnami o i restauratori, i muratori o gli stuccatori, i fabbri o i lattonieri. La promozione delle conoscenze, l’arricchimento di una letteratura manualistica e di una didattica basata appunto sulle tecniche di realizzazione e sull’uso o l’applicazione dei materiali può aiutare l’artigiano a uscire dal cerchio esclusivo della memoria storica personale e indirizzare nuove maestranze verso un mercato estremamente interessante.
L’adozione del Piano del Colore innesca un’attenta riflessione da parte dei cittadini e degli operatori economici e può essere l’elemento di riferimento per l’ideazione di iniziative culturali e di restauro. Un esempio di riqualificazione ambientale è quello promosso alcuni anni fa dall’Assessorato per l’Arredo Urbano di Torino con l’associazione cittadina di Via “Il Gambero d’Oro” per la creazione del trompe l’oeil di Via Monte di Pietà, con sistemazione e illuminazione dello spazio pedonale; o il restauro eseguito con il contributo del Comune di Torino e del Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriali per l’esecuzione a trompe l’oeil di una facciata medievale in Via Conte Verde. Di rapportarsi a questi tipi d’iniziative, riprendendo le tematiche relative al recupero dei centri storici si è fatto carico il gruppo “Spelta Aurea” della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Spoltore organizzando dal 12 al 20 maggio 2000 la prima manifestazione itinerante sul colore dal titolo “I colori del territorio tra arte e architettura”.
L’iniziativa ha avuto il pregio di riunire varie figure professionali e non oltre ad altri artisti, musicisti, teatranti e insegnanti per lavorare insieme su un elemento fondamentale della nostra vita percettiva, emotiva e culturale “il colore”. Con questo impegno è stato allestita una mostra e presentato pubblicamente il Piano, realizzate delle performance artistiche 5 6 7, degli interventi d’arte visiva 8, un laboratorio di teatro 9 ed una manifestazione di musica che ha permesso, con la partecipazione dei cittadini, di sonorizzazione un percorso all’interno del centro storico.
In definitiva è auspicabile che i risultati di questo ampio lavoro tutt’ora in corso possa essere concretamente recepito e di supporto per l’operazione attuativa, nel tentativo di bloccare il degrado e lo stravolgimento della irripetibile esperienza dei centri urbani della provincia di Pescara.
Il territorio di Spoltore ed il suo centro storico sono stati per un lungo periodo il luogo di riferimento per molte persone provenienti in prevalenza dalla vicina città di Pescara, alla ricerca di una migliore qualità della vita in un contesto i cui valori storici e paesaggistici siano riconoscibili.
In ogni caso sia i cittadini trasferitisi dal centro storico che i nuovi residenti hanno continuato sempre ad esprimere un forte legame con il nucleo antico, in quanto maggiormente incorpora la concezione del vivere lo spazio, identificandolo come spazio collettivo di proprietà pubblica. Quì infatti il sistema di piazze, piazzette e larghi rappresenta ancora lo spazio collettivo dove incontrarsi, passeggiare e giocare; oltre che permanere nel tempo come luogo deputato per la localizzazione di eventi particolari come manifestazioni pubbliche, feste religiose, eventi culturali e d’arte 1.
Della crescente richiesta in abitazioni in proprietà, dai primi anni ’70 in poi, si sono fatto carico alcune imprese locali che totalmente impreparate dal punto di vista tecnico, hanno trasformato edifici anche di valore architettonico, in alloggi anonimi adottando materiali, tecniche di lavorazione e di finitura analoga ad un cantiere per l’edilizia moderna. Lo scarso controllo di queste trasformazioni accompagnato alla esiguità degli interventi pubblici hanno provocato la perdita di identità di diversi edifici e la memoria storica di alcuni luoghi.
L’adozione del primo Piano di Recupero del Centro Storico è del 1988, ma la sua efficacia non trova molte rispondenze negli interventi edili effettuati. Da un’indagine preliminare effettuata in occasione della redazione della variante, sugli edifici sottoposti ad intervento nell’arco di tempo che va dal 1988 al 1998, risulta un’attività considerevole che investe il 25% di tutto il patrimonio edilizio esistente; percentuale che sale al 40% se fossero inclusi gli interventi catalogabili come “opere interne”. Una considerevole attività non sempre il linea con le previsioni di Piano in quanto la metà degli edifici ristrutturati risultano con “elementi in contrasto con le tipologie edilizie”.
Queste vicende trovano riscontro nell’analisi condotta da Paolo Marconi nel testo “Il restauro e l’architetto” ove afferma che i manufatti storici sono soggetti a mutazioni continue e che questa è una delle condizioni per la loro sopravvivenza in modo da continuare ad offrire all’uomo riparo e protezione oltre che emozioni estetiche. Come è pur vero che la progressiva scomparsa delle tecniche di lavorazione accompagnata alla carenza di una politica urbanistica, poco attenta ai lavori estetici e al paesaggio urbano, e all’aumento dell’abusivismo sono tra i fattori che hanno inciso sulla reinterpretazione del “colore della città” negli ultimi cinquant’anni.
Un tentativo di incentivare i proprietari di edifici nel centro storico al restauro e al recupero è rappresentato dal bando riferito alla delibera consiliare dell’ottobre ’96, per l’assegnazione di contributi comunali relativi a interventi inerenti la sostituzione di lavorazioni e materiali esterni agli edifici, ma a tutt’oggi non ancora attuato. Nel 1997 è stato affidato l’incarico per la redazione Variante al Piano di Recupero, il Piano del Colore e il Piano dell’Arredo Urbano del Centro Storico Capoluogo, poi approvati ed adottati definitivamente nell’anno 1999.
A distanza di due anni bisogna ammettere che alcune aspettative sono state disattese e ancora oggi molto deve essere fatto al fine di evitare che gli obiettivi e le finalità dei piani redatti in modo integrato rimangano ancora una volta solo dei bei elaborati. La volontà comprensibile di cambiare volto al centro storico da parte dell’amministrazione di centro-sinistra, dopo decenni di abbandono o di interventi tampone, è rappresentata principalmente dalle opere di consolidamento, dalla sistemazione della parte superiore del Belvedere e dal rifacimento della pavimentazione di gran parte delle vie, dei vicoli, delle gradinate e di Largo S. Giovanni.
Interventi a valenza prevalentemente “funzionale” che non considerano aspetti salienti relativi alla qualità del paesaggio urbano, eludendo così il mantenimento in stato appropriato del patrimonio edilizio, con la consecutiva perdita del carattere dei luoghi urbani dovuto anche alla mancata applicazione dei colori e dei materiali locali.
La realizzazione di pavimentazioni in un contesto ove esiste una specificità funzionale delle varie zone dell’abitato, contraddistinto da una specie di gerarchia dei luoghi, ben descritta tra l’altro nella ricca toponomastica, deve necessariamente rapportarsi e trovare riscontro nelle varietà del paesaggio stradale, nelle diverse funzioni d’uso e nelle diverse tessiture di pavimentazioni realizzabili.
In casi come questi il rischio è rappresentato proprio dal voler perdurare in una politica urbanistica attenta più alla qualità dei lavori svolti che alla qualità come valore estetico, imponendo così nel contesto urbano nuove dimensioni e nuovi ritmi che tendono a confondere la struttura fisica della città tradizionale; un atteggiamento che indubbiamente sottintende del disinteresse verso i problemi relativi alla qualità del paesaggio urbano 2.
Non a caso nelle linee strategiche e finalità del Piano viene riaffermato che “i piani del colore, per l’estrema visibilità ed estensione del loro esito e la complessità delle applicazioni, sono innanzitutto un problema di pertinenza politica ed esprimono in primo luogo la capacità, da parte della classe politica, di configurare l’immagine ed in definitiva l’identità di un determinato luogo” 3.
L’attuazione di un Piano del Colore comporta necessariamente l’istaurarsi di un rapporto costruttivo tra il livello amministrativo-politico ed i cittadini, realizzabile attraverso l’informazione, la promozione e l’incentivazione economica; ma ciò significa anche:
- creazione di un Assessorato per l’Arredo Urbano che eserciti e promuova una costante pressione culturale e un attento controllo degli interventi anche con l’ausilio di associazioni locali;
- l’attivazione di protocolli d’intesa, di accordi di programma e di quant’altro è possibile da parte delle amministrazioni pubbliche nei confronti di imprese o consorzi per il recupero del patrimonio edilizio sotto utilizzato o soggetto a degrado;
- promozione della qualità del progetto e dell’opera architettonica anche attraverso la disposizione di concorsi di idee e di progettazione;
- riqualificazione delle maestranze attraverso l’attivazione di corsi di formazione o scuola bottega per dare nuovo rigore a vecchi mestieri nel campo dell’edilizia.
La redazione del Piano del Colore di Spoltore ha consentito di realizzare un coordinamento cromatico dell’intero patrimonio edilizio ottenuto attraverso la rilettura del tessuto urbano, di come è andato formandosi e modificandosi nel tempo, sia rispetto alle colorazioni usate che agli elementi di finitura e decorativi delle facciate.
Il Piano si articola in tre fasi principali che vanno dalla documentazione delle conoscenze acquisite, alla scelta degli strumenti di regolazione cromatica, alla redazione del manuale operativo 4. In relazione ai numerosi Piani Colore già redatti per altre città grandi e piccole, esiste ormai un’ampia bibliografia che ben documenta i temi e le scelte relative agli strumenti metodologici, progettuali e normativi per la regolamentazione cromatica dell’ambiente costruito; mentre è sulla redazione del manuale che vorrei soffermarmi in quanto pensato come “guida operativa” per gli interventi edilizi. In particolare il “manuale” è stato ideato come una sorta di repertorio dei materiali, degli elementi costruttivi e delle finiture esterne degli organismi edilizi, focalizzando le caratteristiche degli elementi architettonici di facciata, degli elementi decorativi e di quelli funzionali. Formato da descrizioni, indicazioni sulle modalità d’intervento, documentazione fotografica e disegni esecutivi, il manuale illustra e fa apprezzare la sostanza materiale dell’edilizia storica.
Il “manuale” vuole essere anche un invito ad investire competenze e risorse in un lavoro di ricerca e sviluppo rivolto al miglioramento ed all’estensione dell’attività di restauro e recupero. Ponendo l’accento sulla necessità di iniziative per l’arricchimento delle attività artigianali legate al restauro edilizio, ed aggiungerei all’acquisizione di tutte quelle lavorazioni di pregio che trovano applicazione nell’architettura contemporanea.
A tale proposito possiamo pensare alle tecniche di ricoloriture murali degli edifici storici, alla lavorazione della pietra ed ai suoi campi d’applicazione come elemento di rifinitura degli edifici e per l’arredo urbano, ed alle altre lavorazioni artigianali che vedono impegnate figure come i falegnami o i restauratori, i muratori o gli stuccatori, i fabbri o i lattonieri. La promozione delle conoscenze, l’arricchimento di una letteratura manualistica e di una didattica basata appunto sulle tecniche di realizzazione e sull’uso o l’applicazione dei materiali può aiutare l’artigiano a uscire dal cerchio esclusivo della memoria storica personale e indirizzare nuove maestranze verso un mercato estremamente interessante.
L’adozione del Piano del Colore innesca un’attenta riflessione da parte dei cittadini e degli operatori economici e può essere l’elemento di riferimento per l’ideazione di iniziative culturali e di restauro. Un esempio di riqualificazione ambientale è quello promosso alcuni anni fa dall’Assessorato per l’Arredo Urbano di Torino con l’associazione cittadina di Via “Il Gambero d’Oro” per la creazione del trompe l’oeil di Via Monte di Pietà, con sistemazione e illuminazione dello spazio pedonale; o il restauro eseguito con il contributo del Comune di Torino e del Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione Industriali per l’esecuzione a trompe l’oeil di una facciata medievale in Via Conte Verde. Di rapportarsi a questi tipi d’iniziative, riprendendo le tematiche relative al recupero dei centri storici si è fatto carico il gruppo “Spelta Aurea” della Società Operaia di Mutuo Soccorso di Spoltore organizzando dal 12 al 20 maggio 2000 la prima manifestazione itinerante sul colore dal titolo “I colori del territorio tra arte e architettura”.
L’iniziativa ha avuto il pregio di riunire varie figure professionali e non oltre ad altri artisti, musicisti, teatranti e insegnanti per lavorare insieme su un elemento fondamentale della nostra vita percettiva, emotiva e culturale “il colore”. Con questo impegno è stato allestita una mostra e presentato pubblicamente il Piano, realizzate delle performance artistiche 5 6 7, degli interventi d’arte visiva 8, un laboratorio di teatro 9 ed una manifestazione di musica che ha permesso, con la partecipazione dei cittadini, di sonorizzazione un percorso all’interno del centro storico.
In definitiva è auspicabile che i risultati di questo ampio lavoro tutt’ora in corso possa essere concretamente recepito e di supporto per l’operazione attuativa, nel tentativo di bloccare il degrado e lo stravolgimento della irripetibile esperienza dei centri urbani della provincia di Pescara.
Nessun commento:
Posta un commento